Articolo estratto dal sito dell’Azienda Ospedaliera di Perugia
“Il punto sulle patologie con il professor Riccardo Calafiore direttore di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo
In Umbria circa 60mila persone sono affette da disfunzioni della tiroide, la ghiandola dell’apparato endocrino che sovraintende al metabolismo energetico corporeo, grazie alla produzione di ormoni FT3 e FT4. È la ghiandola ipofisaria a gestire la funzione della tiroide, ma che succede quando quest’ultima presenta delle disfunzioni? Che problemi comporta all’organismo?
In occasione della Settimana mondiale dedicata alle patologie tiroidee, abbiamo fatto il punto sulla diagnosi e la cura con il professor Riccardo Calafiore, direttore della struttura complessa di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, sede di coordinamento multidisciplinare, a livello regionale, delle attività di diagnosi e terapia delle patologie nodulari della tiroide e delle paratiroidi, con particolare riguardo ai carcinomi tiroidei.
“Le malattie della tiroide sono molto diffuse nel nostro paese – spiega il professor Calafiore – Circa il 20/40% della popolazione soffre di patologie nodulari e tiroiditi subacute o croniche, e uno 0,1% di carcinoma della tiroide”.
Presso il Centro oncologico della tiroide, gestito dal professor Efisio Puxeddu, afferiscono circa mille pazienti con percorsi di follow up: “Ad oggi i tumori della tiroide sono ampiamente trattabili e solo pochi pazienti vanno incontro ad esiti sfavorevoli. Presso il nostro Centro ci avvaliamo di diverse terapie, in un contesto multisciplinare, da quella chirurgica a quella radiante, fino a quella medica che eseguiamo nella nostra Struttura, come il trattamento, per alcuni tipi di carcinomi, con gli inibitori delle multichinasi, che sfruttano complessi sistemi biochimici in grado di bloccare ed eventualmente ridurre la crescita del tumore. In altri casi – continua il professor Calafiore – in cui c’è un profilo genomico ben preciso, si può effettuare sul paziente una terapia genica chiamata target therapy, in cui si va a ‘targhettare’ l’anomalia, la mutazione genica che è stata all’origine nella neoplasia tiroidea”.
La prevenzione gioca un ruolo fondamentale per evitare lo sviluppo o l’aggravamento delle disfunzioni tiroidee: “Molti noduli, ad esempio, sono scoperti per caso, in quanto la tiroide può continuare a funzionare anche in presenza degli stessi (eutiroidismo), ma è comunque importante riuscire a diagnosticarli in tempo, per scoprire eventuali atipie cellulari a possibile evoluzione neoplastica. In altri casi, inoltre, in presenza di noduli (ingrossamenti anomali e circoscritti) o di un ingrandimento diffuso della ghiandola, la tiroide può funzionare troppo (ipertiroidismo) o poco (ipotiroidismo). Infine, anche nel caso di noduli benigni, si può dover ricorrere al chirurgo: in effetti, crescendo, i noduli possono comprimere organi come trachea ed esofago, provocando problemi respiratori e di deglutizione, questi ultimi particolarmente temibili nell’anziano a causa dello sviluppo di polmoniti ab ingestis”.
Se la tiroide non produce una quantità sufficiente di ormoni, si parla, dunque di ipotiroidismo, come spiega il professor Calafiore: “Con l’ipotiroidismo clinico evidente, il paziente è affaticato, il suo peso corporeo tende ad aumentare, ha un’attenzione ridotta, uno stato di torpore (sonnolenza) e sensazione di freddo anche durante il periodo estivo. Le cause che portano all’ipotiroidismo possono essere legate ad una malattia cronica come la tiroidite di Hashimoto, una patologia autoimmune della tiroide che colpisce soprattutto le donne, dall’adolescenza fino all’età adulta”.
Meno frequente (si parla del 2% di casi) è l’ipertiroidismo: “In questo caso la tiroide funziona troppo a causa di una malattia autoimmune come il morbo di Basedow, oppure perché ci sono dei noduli che producono troppo ormone e di conseguenza il paziente ha i sintomi opposti dell’ipotiroidismo, come ansia, tremori, sudorazione intensa, tachicardia e a volte anche aritmie, fino alla fibrillazione atriale. Il paziente affetto da questa patologia va incontro anche ad una perdita di peso continua, pur mangiando molto, con conseguenze anche gravi se non vengono attuate misure terapeutiche adeguate”.
Diversamente dall’adulto, in età pediatrica l’incidenza delle patologie tiroidee è inferiore, “ma è comunque importante – sottolinea Calafiore – valutare anche durante lo sviluppo fetale, se la madre è affetta da ipotiroidismo, con eventuali segni di disfunzione della tiroide. Presso la nostra struttura seguiamo con particolare attenzione le gestanti con ipotiroidismo per evitare che ci siano alterazioni dell’apporto iodico al nascituro. La carenza di ormone tiroideo congenita può infatti causare un’alterazione della crescita dell’apparato scheletrico ed ipoevolutismo del sistema nervoso centrale, con possibili deficit cognitivi anche seri. Oggi, comunque, sono condizioni sempre più rare dal momento che alla nascita viene effettuato un prelievo di sangue per verificare la quantità dell’ormone tiroideo principale l’FT4 e, qualora necessario, si può iniziare subito una terapia sostitutiva che permette un normale sviluppo del bambino”.
L’ipotiroidismo, in Umbria, è una patologia relativamente diffusa nella popolazione: “È infatti una regione povera di iodio, sia nelle acque che nel sottosuolo. Lo iodio è un oligoelemento importantissimo per la funzione della ghiandola, se mancante, è come non avere il carburante per far avviare il motore di una macchina. Senza iodio la tiroide non è attiva, non sintetizza gli ormoni e, di conseguenza, si va verso l’ipotiroidismo”.
Fondamentale è ancora una volta una prevenzione adeguata, implementando questo importante oligoelemento nella dieta utilizzando il sale iodato e tenendo sotto controllo i valori degli ormoni della tiroide con un semplice prelievo del sangue.”
https://www.ospedale.perugia.it/notizie/settimana-mondiale-della-tiroide-000